Il pensiero negativo? Non con il coaching

Il pensiero negativo? Non con il coaching

Alcuni studiosi americani già da qualche anno teorizzano l’efficacia del pensiero positivo… ops, volevo dire negativo… (anche solo scriverlo mi viene difficile) come uno strumento efficace per tenere sotto controllo la sconfitta. In poche parole ci dicono che se siamo troppo positivi rischiamo di prendere decisioni azzardate, correre rischi troppo grandi e, nella migliore delle ipotesi, restare delusi. Al contrario, pensare al peggio può aiutarci a frenare l’ansia e ad attivarci per agire al massimo delle nostre possibilità.

Julie K.Norem, professoressa di psicologia al Wellesley College- Massachussets, ha studiato l’argomento e lo ha trattato nel suo libro: “The positive power of negative thinking”, dove il pensiero negativo è il risultato del “pessimismo difensivo” . Apparentemente, dopo il tracollo della finanza dovuto a un “eccessivo ottimismo” nei subprime e in tutti quei giochi finanziari azzardati, negli Stati Uniti molti pensano sia arrivato il momento di rivedere le proprie strategie. Basta col cercare sempre il lato positivo di ogni situazione, non è realistico osservare tutto con le lenti rosa, fanno bene coloro che immaginano il disastro in agguato come strategia di azione. Persino nel sito di Oprah Winfrey, la regina del postive thinking, in un articolo si ringrazia la Professoressa Norem per il senso di liberazione provato nel sapere che essere negativi va bene. Sarà questa la nuova moda?

Beh, onestamente, credo ci sia un malinteso. Essere positivi non vuol dire necessariamente non curarsi di possibili difficoltà o rifutare l’opzione fallimento. Essere positivi vuol dire credere nelle possibilità e adoperare le proprie risorse al meglio per ottenere il risultato desiderato, quindi possibile. Non riesco a immaginarmi un campione dei 100 metri, che come strategia di allenamento provi a visualizzare di arrivare ultimo così da tenere a bada la propria ansia da prestazione e vincere. Sono convinta che un campione sia perfettamente capace di gestire quel tipo di ansia, per cui la sua motivazione è costruita immaginandosi piuttosto sul podio. E’ quel podio che lo aspetta a motivare uno sportivo a lavorare sodo, a sopportare la fatica e il dolore.

Questo cosa significa? Significa che per padroneggiare il pensiero positivo effettivamente occorre una buona dose di autostima, una sicurezza che ci permetta di gestire un cambiamento e di affrontare l’insuccesso se necessario. Credo che il punto sia proprio qui. Pensare al peggio riduce le aspettative di successo e quindi le possibilità di restare delusi. Chi usa la strategia del pensiero negativo, in realtà non si prepara a raggiungere un risultato, ma a governare la propia ansia e a evitare un ulteriore colpo alla propria autostima. E’ umano, ma non aiuta.

Credo fermamente che il lavoro da fare sia sempre quello di conquistare l’autoconsapevolezza delle proprie risorse così come dei propri limiti e poi fare leva sui personali punti di forza per procedere verso una meta desiderata. E’ fondamentale, nel momento in cui definiamo i nostri obiettivi, capire se sono realisitici e verificare i pro e i contro delle nostre azioni prima di agire, ma soprattutto è necessario prendersi la responsabilità delle propre scelte. Solo così possiamo trovare in noi la capacità di affrontare anche un risultato negativo analizzandone le cause, individuando gli errori, se ce ne sono stati, e non ripeterli. Il “pessimismo difensivo” o quella che nello yoga si chiama energia negativa, ha la sua funzione e utilità al momento di disegnare una strategia, proprio per evitare di lanciarsi in velleitari salti nel vuoto. Lo considero quindi un aspetto della capacità di analisi.

Se comunque siete curiosi di saperne di più, visitate il sito http://www.defensivepessimism.com/

Potete persino fare il test on line per sapere se siete dei fieri pessimisti o degli irresponsabili ottimisti. Il risultato migliore suppongo sia rivelare di saper bilanciare i due approcci e quindi nel mezzo. Per quanto mi riguarda, nel mezzo pieno.

Carla Benedetti

Come lavorare sulla propria autoconsapevolezza

Carla Benedetti

Ho intrapreso gli studi e la professione di coach dopo quindici anni di attività nel management, nelle Risorse Umane e nella gestione di piccole imprese in Italia e all’estero. Credo fermamente che ogni singolo individuo possa dare il suo contributo a quel cambiamento culturale che renderà il mondo migliore.

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